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SARRI SOTTO PROCESSO: INNOCENTE O COLPEVOLE?

Aggiornamento: 16 set 2020

L’esonero di Maurizio Sarri sembrava essere nell'aria come un temporale estivo; quelle continue negazioni da parte della dirigenza e i lapidari interventi davanti alle telecamere dello stesso tecnico toscano lasciavano

presagire l’imminente fine del rapporto. Ma se l’amore per il toscano non ha mai conquistato il cuore dei tifosi juventini, la dirigenza sembrava essere assolutamente convinta della bontà della sua scelta. Agnelli voleva il bel

gioco, e poco male se Sarri è stato il nemico, in nome della fluidità e velocità di manovra si può perdonare chiunque. Ma allora perché la rottura? Dove nasce questa necessità di cambiamento ed è effettivamente la scelta giusta?

Proveremo a capire cosa sta avvenendo alla Continassa analizzando la questione da entrambi i fronti, uno scontro senza esclusione di colpi tra sarristi e contro sarristi.

Accusa

Due figure distratte, immerse nei loro mondi, un prato ed un cielo di un tenue azzurro squarciato da un improvviso e brusco fulmine. Questo è l’esonero di Maurizio Sarri: un dipinto di Giorgione, esposto e custodito con cura per i posteri.

Tuttavia c’erano già segnali forti che suggerivano che il rapporto con la dirigenza non fosse idilliaco, che quel terreno sotto i piedi incominciasse a mancare. Se è vero che Roma non è stata costruita in un giorno, è anche vero che per maturare una rivoluzione serve che la rivoluzione quantomeno si programmi. Un Sarri nelle vesti di Allegri, di un manager gestore delle forze e degli equilibri, non è quello che la Vecchia Signora voleva o tanto meno si aspettava. Se la Juventus avesse voluto proseguire su questa onda non avrebbe chiamato un uomo scevro dalle regole, che non si presenta mai, o quasi, in completo, fumando una delle sue amate sigarette, ma avrebbe affidato il compito a qualche altro asettico burattino del potere. Ma la Juventus agognava troppo di essere come quel Real Madrid del pupillo Zidane, concreta, bella e vincente, con un’identità riconoscibile già dopo pochi secondi dal fischio d’inizio, per lasciarsi sfuggire l’occasione di chiamare un sedicente maestro come Sarri. Alla fine dei conti, però si è ritrovata con un bottino misero (nono scudetto) vinto solo per inerzia, una manovra lenta e prevedibile, giocatori scontenti e un “Mi aspettavo peggio” a suggellare l’ennesimo fallimento in Champions League.

Quest’ultima frase ha segnato la condanna di un uomo troppo poco carismatico per reggere la pressione di un ambiente vincente; sebbene abbia vinto un Europa League ed uno Scudetto, ha perso due finali, subito troppi gol e innervosito non poco la dirigenza con uscite che sottolineavano una crasi tra settore tecnico e giocatori, quasi come se i giocatori fossero enti indipendenti dal suo volere e non delle monadi con l’allenatore. Che fine avevano fatto il sarrismo coadiuvato dalle idee di un calcio progressista?

E allora se hai in possesso uno dei centrocampisti più forti e promettenti del panorama internazionale e lo lasci in panchina tutto l’anno costringendo la dirigenza a venderlo, se esalti Pjanic e poi lo metti ai margini del progetto, se non riesci a spronare un tuo fido come El pipita, se la difesa diventa un colabrodo, se non fai arrivare rifornimenti a Ronaldo e lasci l’area di rigore sempre vuota, se non hai l’entusiasmo di iniziare un nuovo anno e ti senti quasi schiavo di un contratto, in qualche modo una rivoluzione l’hai fatta, ma in negativo. I fotogrammi di questa esaltante stagione fallimentare, che resteranno impressi nella memoria dei tifosi saranno un possesso palla sterile e passaggi in orizzontale. Invece nelle orecchie dei giocatori riecheggerà quella infelice uscita “Come ho fatto a perdere due scudetti contro di voi?” sintomo di un uomo che quasi covava un astio nei confronti della squadra che allenava, che non si è mai messo nei panni dei calciatori, ma che pretendeva che fossero pedine su una scacchiera prima che uomini. Le promesse fatte sono diventate importanti come i mozziconi delle sigarette e i calciatori hanno incominciato a sentirsi soli e senza un vero condottiero di cui potersi fidare.

Nonostante queste premesse, qualcuno potrebbe obiettare che la maggior parte siano voci di corridoio e che se ci si volesse soffermare solo sull'aspetto tecnico, anche al Napoli, il primo anno di Sarri fu deludente, o che Pep Guardiola abbia faticato la prima stagione con il City, che ci vuole più tempo, ma in un momento storico in cui le rivali incominciano a pressare ed in un contesto desolante in cui solo due azioni in tutto l’anno recavano il marchio del sarrismo, la dirigenza ha preferito dare un segnale importante sperando di vincere altri trofei che non siano solo quelli del bel giuoco.



Difesa

I più agguerriti diranno che Sarri ha fallito miseramente nella sua missione del bel gioco, e come dargli torto? Ma si può davvero credere che in un anno (per di più così assurdo come quello appena trascorso) si possa cambiare l’identità di una squadra che vince da 8 anni lo scudetto solo grazie alla voglia, alla solidità difensiva e ai colpi estemporanei di qualche fuoriclasse? Il tifoso incattivito si aspettava che, come con un colpo di bacchetta magica, Sarri avrebbe trasformato la Juventus in un paradiso del movimento corale e

del possesso palla, e quasi subito, quella che era solo una speranza, è divenuta un’esigenza, un immediato dovere che non poteva rispecchiare la difficoltà del compito richiesto. Maurizio ha vinto comunque il campionato affrontando non solo gli avversari, i suoi stessi tifosi e una dirigenza impaziente, ma anche e sopratutto una pandemia globale che ha fermato la stagione sportiva per mesi. Si è detto più e più volte che la conferma o meno del tecnico non sarebbe dipesa dalla partita di ritorno contro il Lione, che un

solo match non avrebbe decretato il suo fallimento o meno, che il non passaggio del turno fosse contemplato vista l’eccezionalità e la stranezza del momento. Erano tutte menzogne. Sarri si è giocato la sua permanenza

per un rigore inesistente al 10’ della suddetta partita, un chiaro colpo di malasorte. Questa Juventus, seppure priva di qualsiasi estro e vitalità (eccetto ovviamente per CR7), senza questa plateale svista arbitrale,

avrebbe passato il turno, oso dire, serenamente. Il Lione già al 60’ passeggiava per il campo ormai completamente cotto. Allora, messo in conto che la Serie A è stata vinta e dunque ci si è liberati di quell'opprimente dovere di non interrompere la clamorosa striscia positiva, era giunto finalmente il momento perfetto per dargli carta bianca così da assemblare una rosa finalmente funzionale al progetto. Sì perché si deve tenere a mente che Sarri non ha mai avuto a disposizione uomini che potessero reggere i

suoi alti ritmi e che soprattutto potessero partecipare tutti ad entrambe le fasi del gioco. Abbattuto lo stigma che pendeva sul suo capo di eterno perdente era pronto a lavorare serenamente per rivoluzionare (e non si

esagera affatto nel dirlo) questa società. Si è ormai compreso che per vincere in Europa è necessario avere tempi di reazione eccezionali e un’identità di gioco chiara e rodata, ciò in cui egli è maestro. E queste non

solo sono supposizioni, i fatti dicono di un’Europa League conquistata lo scorso anno, torneo che sa essere complicatissimo e imprevedibile. Il germe della sua mano s’era intravisto in un Dybala risorto e in un Pjanic

meraviglioso e padrone della squadra nella prima metà del campionato; non dimentichiamo che sua maestà Cristiano Ronaldo ha appena battuto il record di goal in una singola stagione in maglia bianconera che resisteva da 95 anni (detenuto dall'ungherese Ferenc Hirzer). La dirigenza doveva essere conscia sin dall'inizio che per vedere gli effettivi risultati del suo lavoro si doveva attendere più tempo. Dal punto di vista umano poi, prima di scegliere un tipo tanto particolare, come lo è il tecnico toscano, ci si deve premurare d’essere certi che i giocatori quantomeno lo rispettino. Il feeling può non nascere, ma non vi è spazio sin da subito per prime donne e uomini convinti d’essere ormai fatti e finiti. Se tutto questo non poteva essere assicurato dal primo istante allora è stata una follia della società, che si è voluta scontrare sfacciatamente con l’impossibile. I giocatori dovevano avere l’umiltà e l’intelligenza di comprendere che quanto era stato fatto negli anni precedenti

apparteneva oramai al passato, che il presente e futuro erano nelle mani di quest’uomo, sì rude, sì in tuta, sì senza passato sul rettangolo, ma che ha dimostrato di essere un genio senza possibilità di smentita. E allora difesa a zona richiesta? Difesa a zona eseguita. Sì anche sui calci d’angolo. Pressing alto asfissiante? Detto, fatto. Rientro in difesa anche per CR7? Si deve fare. Perché è questo quanto necessario al progetto per raggiungere il successo.

In un’esercito si consegnano le chiavi d’ogni decisione al generale, e non sono ammessi insubordinati, gli Achille, che vincono la guerra da soli, sul campo verde non esistono (vedi CR7 vs Lione). Questa squadra aveva il dovere di capire quest’uomo tanto diverso dallo stile Juve, di andare oltre le facili e banali apparenze, di rendersi conto di quanto egli fosse felice e disposto ad insegnare ed imparare qualcosa, nel sol modo che gli è

consono: senza alcuna maschera, nella totale verità della sua grettezza, rinnegando ogni finzione.



A cura di Andreas (difesa) e Stefano (accusa)

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