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PANEGIRICO DI ADRIANO

Aggiornamento: 16 set 2020

Prepotenza fisica belluina, strappi improvvisi, tiro secco e preciso, questo è quanto riaffiora nella mente al ricordo dell’Imperatore, giocatore il cui talento ha messo tutti d’accordo, al pari, quasi, della convinzione che, questo talento, egli l’abbia vituperato in una vita d’eccessi ed infantili bravate. Quando si parla di Adriano si ha sempre l’appena percettibile timore di scomodare l’ingiusto, di ricordare un po’ troppo quanto c’è nell’umano di insormontabile e misero, di comprendere come ogni grande talento porti con sé eguali demoni e celate insicurezze. Benvenuti nel mondo di Adriano Leite Ribeiro, l’esempio per antonomasia dell’eterno incompiuto.

L’attaccante nasce il 17 febbraio 1982 a Vila Cruzeiro, una delle più violente favelas della meravigliosa quanto contraddittoria Rio de Janeiro, specchio d’un ragazzo che, come tanti altri, condannato dal caso a vivere un’esistenza di stenti, sogna di conquistare il suo posto nel Mondo tirando calci al pallone. Dedicherà dunque tutte le proprie energie al futebol, venendo selezionato a soli 11 anni dal Flamengo in qualità di terzino sinistro. Sarà proprio qui che, quasi subito, il suo primo allenatore ne intuirà le capacità realizzative. Adriano dimostra immediatamente di possedere qualità fisiche ben superiori ai suoi coetanei, l’erba ingiallita dei campi carioca sembra bruciare sotto il passo inarrestabile dei suoi scarpini consunti, tanto che nel febbraio del 2000 poco meno che 18 enne fa il suo debutto nella prima squadra dei mengão contro il Botafogo nello storico torneo di Rio-San Paolo, poi soppresso nel 2003. Gli servirà solo un’altra presenza per segnare il suo primo gol in maglia rubro-negra: lancio da 40 metri addomesticato sulla fascia destra con uno stop a seguire che prepara un mancino fulmineo incrociato sul primo palo; difensore e portiere spettatori inermi d’un impeto che sa di inevitabilità. Ottiene addirittura nello stesso anno la prima agognata convocazione in nazionale maggiore. Un 9 di così floride prospettive non può di certo passare inosservato alle grandi d’Europa e, difatti, si fa subito avanti l’Inter, che riesce a strapparlo alla concorrenza portandolo quella stessa estate a Milano. Prima metà di stagione in nerazzuro (8 presenze 1 goal), poi due prestiti per farsi le ossa nel difficile campionato italiano: subito con la Fiorentina (15 presenze, 6 centri), poi con il Parma (44 presenze, 26 centri), riuscendo a dimostrare definitivamente di valere l’investimento del presidente Massimo Moratti.



Il giovane 22enne sembra essersi fatto uomo, pronto finalmente a calcare i palcoscenici che contano. Torna nel gennaio del 2004 a Milano, e in metà stagione mette a referto 12 goal in 18 presenze divenendo una pedina fondamentale nel gioco di mister Zaccheroni. Basta poco per incantare la tifoseria, che si innamora di lui definitivamente alla 29esima giornata in un rocambolesco Inter-Perugia 3-2. Al 24esimo del primo tempo l’Inter usufruisce d’una innocua rimessa laterale nella propria metà campo, la palla è indirizzata sul petto dell’Imperatore, che stoppa a seguire ingaggiando una lotta furibonda sulla fascia sinistra con Diamoutene. Il malese si deve arrendere dopo una decina di metri alla veronica del brasiliano che, entrato in area, liquida con un doppio passo Di Loreto ed infine punisce un inebetito Kalac con uno scavino magistrale. Si fosse trattato di un incontro di boxe l’arbitro l'avrebbe dovuto sospendere per manifesta superiorità… non si vedeva un impeto di tale furia dal solo goal di George Weah. Se questo non bastasse, sigla un secondo goal di incredibile pregevolezza. Nuovamente innocua rimessa laterale dalla sinistra, ancora palla sul petto di Adriano, stavolta già pronto in area. Controllo, protezione della sfera e repentina rotazione per liberare un sinistro ad incrociare imparabile. Chiude la stagione tagliando come un burro centrocampo e difesa d’un Empoli inerme. È nata una stella, e sembra poter riempire quel vuoto immenso lasciato dall’addio del fenomeno Ronaldo Nazario. Il 4 agosto di quell’anno però accade l’imponderabile, a 44 anni si spegne improvvisamente Almir, suo padre. Il ragazzo che sul campo era divenuto un superuomo svela inaspettatamente tutte le fragilità di un giovane troppo sensibile per affrontare, oltre agli avversari, anche sé stesso. Eppure sul prato sembra sempre ritrovarsi, sembra dimenticare quel fondo di bottiglia che durante quelle stanche notti milanesi sempre l’accompagna. Sul rettangolo è il solito tronfio Imperatore, pronto a condannare a morte con un rapido gesto chiunque si frapponga sulla sua strada. Il preliminare di Champions League contro un solido Basilea l’aspetta e lui si farà trovare pronto. Minuto 18 Adriano prende palla nella sua metà campo, brucia 20 metri e allarga sulla sinistra, attacca la profondità e riceve nuovamente la sfera al limite dell’area, destro sinistro infilandosi tra i due centrali che con malizia provano a sbilanciarlo in ogni modo, ma l’imperatore non è un calciatore, è un toro ferito nelle strade di Pamplona. Incespica, resiste, ritrova l’equilibrio e insacca alle spalle del portiere. Sentenza proferita. Il ritorno in casa sarà una passeggiata grazie ad un suo goal al primo minuto. Doppietta finale in un 4-1 devastante. Segnerà con incredibile continuità, e delizierà il pubblico con una serie infinita di giocate da cineteca. Doveroso ricordarne alcune. 3 giornata Atalanta-Inter. Adriano prova un cucchiaio da 40 metri, l’estremo difensore si salva grazie alla traversa. All’87 il risultato è fisso sul 2-2 finché il nuovo fenomeno non decide di regalare i 3 punti alla sua squadra. Burdisso lo innesca sulla fascia destra, in 10 metri si è già trasformato in un panzer inarrestabile.. chiedere al povero Natali. 5 falcate rientrando sul sinistro e il resto ve lo lascio immaginare: 3-2. 6 giornata Inter-Udinese, in 12 minuti fucilata su punizione da 30 metri e secondo goal che ridicolizza gli avversari: si fa tutto il campo palla al piede, liberandosi dei 3 mastini alle sue calcagna con finte ubriacanti e tiro preciso dove la palla non si prende.13 giornata l’Inter attende la Juve di Capello al Meazza. Al 78’ i nerazzurri sono sotto di 2 goal. La rimonta sembra impossibile ma la squadra di Mancini non si arrende. Vieri accorcia le distanze con un gran sinistro, poi al minuto 85 Martins pesca Adriano al centro dell’area che deve solo appoggiare in porta di piatto. Un goal banale rispetto al solito, ciò che cattura l’attenzione è la sua particolare esultanza. L’imperatore è evidentemente sopraffatto dall’emozione, lui, che dopo un goal è sempre così composto, come fosse ovvio che prima o poi quella palla l’avrebbe scaraventata in porta. Alza le braccia, rivolge il suo sguardo al cielo e quelle grida sopite dal maledetto 4 agosto sembrano finalmente fendere le galassie sopra San Siro. Credo sia stato questo l’attimo in cui il ragazzo è rimasto tale, in cui il gigante dall’animo gentile non è riuscito a dare il giusto peso salvifico a quest’atto catartico. Eppure sulla spinta di quell’onda inarrestabile che sembra accompagnarlo sin dalla nascita Adriano resiste ancora. Sì, è circondato da quei demoni che lo tormentano ormai perennemente, ma continua ad incantare. Ed è qui il punto più alto della sua vita calcistica, in una di quelle notti di marzo in cui si diviene eroi: tripletta ai campioni d’Europa in carica del Porto, nel ritorno degli ottavi di finale della coppa dalle grandi orecchie. L’imperatore è in una di quelle giornate in cui è capace di abbattere a spallate le mura d’un borgo medievale. In quei tre goal c’è tutto Adriano. Il primo: la potenza. Il secondo: l’astuzia. Il terzo: la tecnica. Un giocatore completo, semplicemente meraviglioso. Donerà ancora sprazzi di pura bellezza, come durante la Confederetions cup, dove vincerà il titolo di capocannoniere con 5 goal. Ma anche in nazionale non sarò ricordato che con un retrogusto amaro. Il quartetto magico (Adriano, Ronaldinho, Kakà e Ronaldo) non riuscirà a regalare alla nazionale verde oro il sesto mondiale, schiantandosi contro uno Zidane troppo ispirato per essere umano. La sua parabola discendente sarà inarrestabile al pari delle sue cavalcate in campo, e l’alcol lentamente lo divorerà. Giocherà altri 3 anni a Milano, deludendo quei tanti cuori che avevano sognato grazie alle sue estemporanee folli galoppate, poi nuovamente in Brasile dove vincerà due campionati, a tratti riaccendendo l’entusiasmo dei suoi tifosi. Tornerà ancora in Italia ma sarà l’ombra di quanto era stato.

Si può dire dunque a cuor leggero che l’Imperatore abbia sprecato le sue doti? È davvero lecito credere che potesse contendere negli anni a seguire qualche pallone d’oro a Messi e Ronaldo? Credo che per le sue particolari caratteristiche egli avrebbe necessitato d’essere in una condizione fisica sempre eccelsa per esprimersi ai massimi livelli. Tolta un po’ di potenza a quello scatto, un po’ di velocità a quel dribbling caotico ed un po’ di ferocia a quel tiro spaventoso ne sarebbe risultato un giocatore normale, addirittura poco efficace. Trovo al quanto difficile che potesse mantenere le stesse aspettative oltre i 28 anni, dove inizia a prevalere la forza mentale, nervosa e puramente tecnica su quella muscolare e fisica. Sì, Adriano poteva essere più grande di quanto c’è stato consegnato, ma credo che più importante di ciò sia che egli è stato fino infondo quello che era, un fenomeno inimitabile e fragile, come solo lui e i suoi compatrioti sanno essere; ragazzi nati senza alcuna possibilità, costretti a fuggire da quella casa ed inferno che comunque amano profondamente. Ed è così che s’è chiuso il cerchio della depressione dell’Imperatore, che come il Nerone di Kierkegaard, con lo sguardo spento e torvo non sapeva più trovare pace nel piacere degli eccessi. In questi casi di assoluta solitudine esistenziale v’è solo un luogo da cui ricominciare. È solo lì, dove tutto è iniziato, in quelle strade strette e colorate, che come null’altro sanno atterrire e cullare, che il nostro eroe può ritrovare quanto perduto. Lì, dove l’impossibile diviene puntualmente realtà nei piedi d’un altro predestinato: Vila Cruzeiro.

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