Los Cebollitas, il miracolo di Villa Fiorito
‘Pulvis es et in pulverem reverteris’. I ragazzi del Barrio lo sanno bene, tra il cielo immenso del Sudamerica ed un Sole tiepido, la loro Villa Fiorito è divorata incessantemente da grandi aloni di polvere sollevati dalle loro meravigliose giocate. Qui, dove sopravvivere è il primo pensiero ad ogni nuova alba e i crampi della fame l’ultimo prima di addormentarsi, il calcio assume altri significati: quello di riscatto, di distrazione, di disperata ricerca d’innocenza. Nelle periferie argentine il ‘progresso’ sembra essersi fermato, scruta silente le timide richieste d’aiuto da qualche grattacielo nel centro di Buenos Aires. A queste latitudini i bambini devono presto farsi uomini e donne, devono dimenticare la loro fanciullezza per contribuire al sostentamento familiare. Il richiamo dei soldi sporchi e facili è fortissimo. Tantissimi si perdono tra le torbide vie della droga e della violenza, scontando con altra sofferenza la pena senza colpa d’esser nati tra gli ultimi del Mondo. È con la limpida consapevolezza di questo tetro destino che Francis Cornejo, allenatore giovanile degli Argentinos Juniors, decide di creare una selezione di ragazzi provenienti da Villa Fiorito. Don Francis sa bene che così potrà salvarne qualcuno insegnando la dignità del sudore e la forza del lavoro di squadra. La sua funzione sociale ed etica si incontra però, quasi subito, con qualcosa di inatteso. Tra i tanti che si presentano ad i provini, un ragazzino spicca decisamente per eleganza, coordinazione ed intelligenza spaziale: si chiama Gregorio Carrizo ma per tutti è solo el Goyo. Don Francis lo ferma subito, gli dice che ha già passato la selezione, che ha tutte le qualità per diventare un grande giocatore. Il volto del Goyo si fa luminoso, giocare a calcio è tutta la sua vita e finalmente potrà farlo in una vera squadra. Goyo però, dopo aver annuito e sorriso, non corre via per dare la bella notizia alla sua famiglia, si ferma ancora un attimo, si fa serio e con convinzione dice: “Don Francis en mi barrio hay uno que la rompe”. Goyo parla del suo migliore amico e vicino di casa, una frase che lì per lì può anche sembrare scontata, ovvia, un tentativo innocente di condividere questa nuova avventura con il suo compagno di giochi quotidiano. Don Francis comunque è incuriosito ed accetta di dargli un'occhiata, infondo è lì per quello. Il ragazzino che el Goyo porta con sé è piccolino come lui, magro, ha due occhi profondi e scuri che infondono benevolenza e una quantità di capelli fuori dal comune. Nel quartiere è chiamato difatti ‘el Pelusa’ ed è già famoso per saper palleggiare con qualsiasi oggetto che assomigli ad una sfera. Il suo nome è Diego Armando Maradona e sta per cambiare per sempre la sua vita e la storia del calcio.
Ojeda; Trotta, Chaile, Chammah, Montaña; Lucero, Dalla Buona, Maradona; Dure, Carrizo, Delgado. Questo il 4-3-3 della formazione titolare delle Cebollitas.

Sì, Don Francis decide di chiamare così quella squadra del Barrio, pur essendo di fatto la selezione giovanile dell’Argentinos Juniors, per due motivi: il primo, evitare che gli avversari possano vantarsi di aver battuto gli U14 di una squadra in prima divisione; il secondo, la statura dei suoi ragazzi terribili, tutti ciquititos, alti come delle cipolline. La sintonia in campo tra El Goyo e El Pelusa è impressionante, continui scambi, verticalizzazioni, dribbling ed assist. Sembrano nati per giocare insieme, la 9 e la 10, il goleador e il fantasista, un'unica cosa per tirare fuori la loro grande famiglia fuori da quell’inferno. I ragazzi si allenano al campo di Don Carrizo, il papà di Gregorio, che con grande dedizione e amore ha trasformato un terreno desolato e polveroso in un rettangolo di gioco, con tanto di porte e reti. Los Cebollitas si impongono in 136 partite ufficiali tra campionato provinciale u14 e trofeo nazione Evita Perón, la competizione più importante a livello giovanile. L’unica sconfitta arriva proprio in questo torneo, al loro primo anno. Dopo una finale emozionante conclusasi sul 2-2, perdono ai rigori contro il Santiago del Estero, con Diego che sbaglierà il suo penalty e conoscerà la prima delusione della sua carriera. L’anno successivo però, memori degli errori commessi, trionfano facilmente, mostrando un calcio di livelli altissimi. La loro fama e quella di Maradona diventano tali che talvolta Don Francis è costretto a cambiargli nome per farlo giocare ‘Montanya’. È troppo forte, gli altri allenatori trovano ingiusto che possa entrare in campo con i suoi coetanei. I muri consunti, le strade diroccate, i calcinacci e l’immensa alienazione che li circondano, divengono per loro motivo di bellezza, necessità e spinta al creare un universo estetico che li protegga dall’insopportabile desolazione. Con la palla tra i piedi le cipolline innalzano meravigliose fortezze fatte di sogni e speranze ove rifugiarsi nei tanti momenti di sconforto. Insieme sono un’armata invincibile, pronta a ristabilire le gerarchie del mondo: la fantasia prima del potere, la sensibilità prima dell’egoismo, l’essere prima dell’avere.

(Diego consola un suo compagno più grande dopo una partita persa)
Leggendari alcuni aneddoti della loro meravigliosa parabola. In un match poco importante El Pelusa e el Goyo partono in panchina. La squadra è sotto 1 a 0 a pochi minuti dalla fine. Dopo varie suppliche dei due, Don Francis si convince a farli entrare. Segnano 6 goal sbaragliando gli increduli avversari. Una volta, in vantaggio di così tante reti da non poterle contare, i ragazzi, pur arrivando sotto porta, non segnano; spediscono ogni volta la palla lontanissima: stavano cercando a tutti i costi di colpire una mucca al pascolo. Nella seconda finale giocata al torneo Perón nella squadra avversaria, il San Telmo, c’è un certo Marcelo Tinelli che diventerà famoso in patria come conduttore televisivo e in tutto il Mondo come creatore della serie TV ‘Patito Feo’ in Italia con il nome di ‘Il Mondo di Patty’. Marcelo è laterale destro e si ritrova spesso a dover marcare Diego. All’ennesimo assist firmato da el Pelusa, Marcelo perde le staffe e coloritamente gli dice: "Gordo, la c… de tu madre, vos metés el pase para otro gol y yo te rompo una gamba". Diego non farà ulteriori assist ma segnerà 3 goal, firmando il 7-2 finale. Il loro viaggio supera addirittura i confini della nazione; saranno una delle pochissime selezioni giovanili argentine a giocare fuori dalla loro patria, calcando campi in Uruguay e in Perù. Superati i 14 anni, le leggendarie Cebollitas del ’60 passano ai veri e propri settori giovanili del ‘Semillero del Mundo’, simbolo perfetto del potrero argentino. Molti arriveranno al professionismo con risultati mediocri. Sicuramente quello che ha avuto più da recriminare è proprio el Goyo, giunto a 18 anni sino alla panchina della prima squadra, ad un passo dal campo di Primera División. Sarà un tremendo infortunio al ginocchio a spezzarne i sogni. Diego si offrirà di pagargli le cure mediche, ma Gregorio dopo l’intervento e sole 2 settimane di fisioterapia decide di mollare. Sul campo gli era sempre riuscito tutto con facilità, interpretava il gioco come una danza, un’arte fatta di proporzioni geometriche e fenomenali colpi estemporanei, fusione perfetta tra ragione ed istinto. La lotta non lo aveva mai contraddistinto pur venendo da una tale realtà, fatta di sofferenza e resistenza, cosa che invece permeava Diego profondamente. Essere un fenomeno non basta, se non si coltiva il proprio spirito guerriero, diventare Maradona è impossibile. Goyo vive ancora nella Villa, si arrabatta come può e ricorda con nostalgia quei pomeriggi dolci e liberi in compagnia del suo migliore amico. L’azzurro immenso che si staglia potente al di sopra della polvere del Barrio è ancora acceso, come il suo sorriso innocente che accolse le parole di Don Francis senza mai dimenticare quel suo fratello che dal Barrio ha conquistato, grazie anche a lui, il Mondo intero.

(El Goyo, oggi)
Musica: La Mano de Dios (Rodrigo)
Docufilm: el otro Maradona (https://www.youtube.com/watch?v=5zxWCk_fjnc)