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LETTERA AD EDER, UN EROE DIMENTICATO TROPPO PRESTO

Aggiornamento: 16 set 2020

Sei sempre stato lì, in silenzio, seduto su quella panchina che a volte sa essere così scomoda e a volte invece ti coccola, ma il tuo pensiero è a quel manto erboso verde che sin da bambino immaginavi potesse un giorno diventare il tuo palco. E allora, i pensieri si affastellano nella mente e affiorano tanti ricordi, di una patria mai vissuta e troppo lontana, di un nome mai stato il tuo e di un’infanzia trascorsa in un orfanotrofio di Coimbra. Solo e disincantato, quella panchina, questa volta ti spinge verso il campo, campo che non avresti nemmeno mai immaginato di calpestare fino a qualche settimana prima. Infatti non è chiaro perché Santos ti abbia convocato per un Europeo nonostante una stagione non esaltante al Braga. Comunque sei lì, con i tuoi compagni a giocarti una competizione internazionale per una nazione che ti ha adottato solo nel 2013, che ti ha cresciuto, ma non è la tua Guinea Bissau. Quella nazione che ti ha saputo anche tirare fuori dal fondo più fondo del fondo quando hai meditato il suicidio, perché deluso e spaesato dinnanzi alla cattiveria del mondo e di tuo padre, e che ha accolto solo 8 anni prima di quell’Europeo, il tuo sogno di diventare calciatore. Nome: Ederzito Antònio Macedo Lopes, per la storia Eder.


Eder nel corso della sua carriera ha spesso indossato un guanto dopo aver segnato a simboleggiare la lotta contro gli eventi, incitando se stesso e gli altri a non mollare mai.

Eder nel corso della sua carriera ha spesso indossato un guanto dopo aver segnato a simboleggiare la lotta contro gli eventi, incitando se stesso e gli altri a non mollare mai.


Siamo solo al 79’ di una finale impari, in casa della Francia, contro i francesi, favoriti sia per mezzi tecnici che per tradizione; infatti si sa che il Portogallo in finale non riesca mai a tirare il meglio di sé. E poi l’iconica bandiera Cristiano, è fuori dal campo, costretto da problemi fisici a sostenere i compagni fuori dal rettangolo di gioco, già da tempo. Ma questa volta non è lui che dovrà essere il protagonista, lo sport regala a tutti la possibilità di diventare eterni. Prima di entrare in campo, ascolti diligentemente i consigli del tuo allenatore, con la leggerezza di un bambino che sta per andare a giocare con gli amici al campetto dietro casa e non di chi sta per riscrivere inesorabilmente la storia del Portogallo.

Corri spaesato in campo, con la leggerezza di una rondine, e inizi a lottare su ogni contrasto, svolgendo il tuo compito alla perfezione. Protezione del pallone per far rifiatare la difesa e smistare, altrimenti guadagnare un calcio di punizione. Tutto è così semplice e logico che non sembra si possa trascendere dai binari dell’ordinarietà, tanto è vero che i tempi regolamentari finiscono senza quasi accorgersene. Siamo ai supplementari, che di solito di ordinario non hanno niente, sono la patria del caos e dell’aleatorietà, considerata la stanchezza dei giocatori e i fattori psicologici chiamati in causa. Ma questa volta, il canovaccio è lo stesso dei primi 90’. E si va inesorabilmente verso quella che è la lotteria dei rigori. Ma ad un certo punto, 109’, a 30 minuti dal tuo ingresso in campo il climax della tua carriera: stop di esterno destro, protezione contro un difensore, ti crei il tuo spazio e lasci partire un destro radente che accarezza il manto erboso e trafigge uno Lloris incolpevole dopo la sua inesorabile corsa verso la rete. Inesorabile come la tua corsa, quell'esultanza liberatoria, abbracciato da tutti i compagni, da tutto un popolo perché in quel momento, il bambino cresciuto nell'orfanotrofio di Coimbra è diventato la bandiera di un popolo, l’amico di tutti, l’eroe del Portogallo e la solitudine, la tristezza e l’abbandono per un fugace istante sono sembrati più lontani della Guinea Bissau e sono stati sostituiti dalla gioia e dall'orgoglio di aver compiuto qualcosa di grande, tanto grande che nessuno ci era mai riuscito. Infatti, nemmeno fenomeni del calibro di Figo, Ronaldo, Eusebio e Rui Costa erano stati così incisivi con così pochi minuti giocati: solo 54’ in tutta la competizione. Seppur in un tempo così esiguo, sei stato in grado di cambiare il tuo destino e poi, con la tua consueta umiltà hai continuato la tua carriera, in silenzio e senza mai essere fuori posto, giocando anche la Champions League con il Lokomotiv Mosca.



Dopo quella finale, non hai cercato la gloria, sei voluto scomparire dai radar così come eri apparso, con la gentilezza di chi sa quanto sia dura la vita, ma nonostante questo è stato in grado di lasciare un segno indelebile. Chi per un giorno non ha sognato di essere Eder? Ognuno, non importa di dove, anche per pochi secondi ha immaginato almeno una volta nella vita, giocando in un campetto di periferia con gli amici, di essere abbracciato dallo scroscio degli applausi, dai cori e dai compagni, dopo aver risolto una partita decisiva, insomma di essere stato te, Eder!

“Oheròi impròvavel Ederzito Antonio Macedo Lopes”*

*Recita così la targa commemorativa affissa in onore di Eder sulla porta della sua casa in Guinea Bissau






STEFANO

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