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L’ultima avventura del Diez

Capitolo 1: Nel nome di Diegoooooooooo.

«Credo in Diego, calciatore onnipotente, creatore di magia e passione. Credo nel Pelusa, nostro D10s, nostro Signore, che fu concepito per opera e grazia di Tota e Don Diego. Nacque a Villa Fiorito, subì il potere di Havelange. Fu crocifisso, ucciso e maltrattato, allontanato dai campi, gli furono tagliate le gambe. Però si voltò e resuscitò il suo incantesimo. Sarà sempre dentro i nostri cuori, per sempre e per l'eternità. Credo nella spirito del calcio, nella santa Iglesia Maradoniana, nel gol agli Inglesi, nel sinistro magico, nel mitico tunnel indiavolato e nel Diego eterno. Diego.»


Questa la preghiera del credo recitato dalla ‘Iglesia Maradoniana’, vero e proprio culto diffusosi nelle strade sempre vive di Buenos Aires. Eppure la carriera del Diego allenatore s’è dimostrata molto, ma molto, distante da quella che l’ha portato ad essere divinizzato. Prendere le redini della Seleción albiceleste con quel passato impareggiabile sul campo e quello spirito focoso, frustrato dall’impossibilità di colpire la pelota, era cosa impossibile anche per lui. Il Mondiale sudafricano ha sentenziato senza alcuna pietà la fine delle aspirazioni del diez. Diego, stanco di sopportare quelle pressioni immani che lentamente l’hanno consumato, s’è deciso ad abbandonare tutto per trascorrere una pensione dorata negli Emirati Arabi Uniti. Sembrava ormai essere quello il suo ultimo desiderio, godersi la libertà d’una realtà ricca ed annoiata. Ma Diego è Diego e questa piattezza non poteva essere il leitmotiv del suo capitolo finale. L’ultima avventura di Maradona infatti è l’ennesimo sunto della sua più profonda essenza, fedele ai quei principi che da sempre i suoi fedeli adorano in lui: rivoluzione, lotta, verità ed una capacità di generare emozioni che solo i più grandi possiedono. È possibile rivivere le gesta del diez nella docuserie Netflix: ‘Maradona in Messico’.

Capitolo 2: Perché i Dorados?

A seguito di quanto accaduto quel maledetto 25 novembre il Mondo intero s’è prima arrestato di colpo e poi celermente agitato come fosse spuma alla foce del Rio de la Plata. Tutti hanno voluto dare il loro contributo: ammiratori, fedeli, nemici, delatori, avversari, fratelli, invidiosi e qualunquisti. In tutto questo indistricabile marasma (del quale spesso avremmo fatto volentieri a meno) un commento però s’è distinto per lucidità, passione e sincerità. Le parole di Lele Adani sono state un dipinto perfetto dello spirito del diez. Non posso allora che iniziare da qui, da quel Davide contro Golia che Lele ha portato a perfetta metafora. Diego Armando Maradona poteva essere Golia: forte, invincibile, inarrestabile, farsi così tristo idolo di chi s’erge a giudice e boia dell’altrui respiro. Bastava cedere ad una sola delle tentazioni del deserto, ad una sola delle catene a stelle e strisce, ad una sola delle menzogne del vecchio continente e sarebbe caduto nella trappola che ha cinto tutti gli altri. Ed invece Diego ha sempre scelto di essere Davide, il liberatore, il bambino di Villa Fiorito, l’uomo fragile ma luminoso. E allora quale terra migliore per ritrovarsi di quella che gli ha dato il massimo trionfo e che per prima ha scacciato l’aquila nordamericana nelle rivolte contadine di Pancho Villa ed Emiliano Zapata?

Capitolo 3: Sinaloa, l’ennesima sfida.

Dorados di Culiacán, la squadra della più grande città dello Stato di Sinaloa. Non c’è molto da aggiungere, Sinaloa è fin troppo famosa per essere sinonimo di Cartello, di El Chapo ed ovviamente di cocaina. La terrifica e ammaliante dama bianca sembra così tornare ad essere il castigo del pibe. Il gioco è presto fatto, le malelingue si scatenano, si gonfiano il petto con le soliti sterili insinuazioni. ‘Lo pagano al grammo’ è l’ovvia sintesi di queste. Diego però non si cura di loro, sa fin troppo bene il vero motivo per il quale è lì: la pelota. Centro di gravitazione del suo potere magico, come lo scettro d’uno stregone, la pelota, è il mezzo che Diego usa per elargire la sua incommensurabile umanità. Il suo amore incontenibile per il gioco si dirama come ‘un’irresistibile primavera’ ovunque egli decida di emanarlo. Una squadra di seconda serie messicana, ai confini del Mondo, vessata da una realtà sociale gravissima, soffocata dal destino ed incapace di uscire da questa melma ha bisogno di lui? Lui c’è, non si tira indietro, e non solo perché questo è il suo destino di Davide, ma anche, e soprattutto, perché lui, come in tutte le grandi storie d’amore, ha allo stesso modo un disperato bisogno di loro. Come nella più profonda consapevolezza del principio di vacuità del Buddhismo che perfettamente si coniuga alle ultime scoperte della fisica quantistica*, Diego è giunto alla conclusione che egli non è di per sé ma soltanto in relazione, in un incontro col diverso. Maradona è un leader nato. Non sono stati solo il suo sinistro e la sua intelligenza a fare di lui il migliore di sempre, il carisma è stato anche più importante. Il collettivo che si crea intorno a lui sfida sempre le leggi della coesione sociale, ed ecco svelata la sua più grande capacità: far divenire un gruppo una famiglia.

Capitolo 4: Un agonismo esasperato.

Il campionato Ascenso Mx, seconda serie messicana, è decisamente migliore di quanto ci si aspetterebbe sia in quanto a competitività che per le strutture a sua disposizione. Gli stadi di proprietà sono moderni, funzionali e curati alla perfezione, situazioni che nella nostra Serie B sono ancora impensabili. La maggioranza dei calciatori è composta da giovani talenti e da meteore poco fortunate alla ricerca di una rinascita. Il disordine tattico la fa comunque da padrone. Diego rivede subito le disposizioni in campo ed inizia a rodare i movimenti dei vari reparti. Arrivato già a campionato iniziato deve affrontare sin da subito una situazione di classifica disastrosa. Il sogno non troppo taciuto è quello di raggiungere i playoff per conquistare una chance di promozione, ma l’ottavo posto è molto lontano e serve davvero un miracolo. Certo, almeno le chance sono due: il format del torneo prevede due diversi campionati (apertura e clausura) e al loro termine le rispettive vincitrici si sfidano per il posto in prima divisione. Diego però non accetta scuse e spinge i suoi a dare sempre il massimo. Quando a Culiacán è iniziata a girare la voce del suo possibile arrivo, i giocatori erano giustamente increduli. Anche il giovane presidente Antonio Núñez pensava a tratti che fosse solo un’illusione. Il più grande di sempre qui, a due passi da noi? Impossibile. Questo rispettoso distacco s’è dissolto però subito dinnanzi all’umiltà del pibe. Diego è diventato padre, fratello e forza di ognuno dei suoi. L’alchimia che s’è creata tra tutti i presenti muove inesorabilmente a commozione. I ragazzi iniziano ad ingranare, tra un teatrino di Diego e l’altro macinano gioco e risultati. El pide preme sull’aggressività, sul noi contro il mondo e sullo spirito guerriero. A fine stagione centrano l’insperato playoff regalando una speranza all’intera comunità cittadina. Vincono i quarti e la semifinale qualificandosi per l’ultimo evento del torneo di apertura dove incontreranno il forte San Luis.

(Lo Estadio Banorte di Culiacán)


Capitolo 5: Umano troppo umano.

L’Atletico de San Luis è un club decisamente più ricco e organizzato dei Dorados. La squadra però ci crede, e sei hai Davide dalla tua sei pronto a sfidare qualsiasi titano. Nella partita d’andata, sospinti da 20mila tifosi in fibrillazione, i ragazzi in oro vincono 1-0. Il match del ritorno in campo avversario si fa subito incandescente. Il pubblico prende di mira Diego che catalizza così su di sé la paura largamente imperante. La partita è al cardiopalma e dopo un 2-2 rocambolesco il tutto viene deciso ai supplementari. Diego però si è fatto espellere dopo un battibecco con l’allenatore avversario. Nei suoi 3 mesi in Messico non ha mai avuto necessità di ricordare a qualcuno che lui è Diego Armando Maradona ed è costretto a farlo per la prima volta proprio qui. ‘Sai quante partite ho giocato io? A te non conosce nessuno neanche a casa tua!’. Diego non tira fuori il suo talento, non sbatte in faccia i suoi tanti trofei e neanche il titolo di migliore di sempre. Parla della sue partite, del suo amore per il gioco, dell’esperienza maturata dedicando ogni suo istante al mondo del calcio. La sua umiltà si riconosce anche nella discordia. I Dorados crolleranno di colpo e subiranno un uno due fatale. La delusione è tanta e Diego a fine partita è incapace di controllare il suo spirito fumantino. All’ennesimo ‘Maradona se la come’ (se lo mangia), dimostra, ancora una volta, tutta la sua umanità aggredendo i supports avversari. Umano, troppo umano.

Capitolo 6: La rinascita.

‘Veni veni, canta conmigo, que un amigo vas a encontrar;

que de la mano, de Maradona, todos la vuelta vamos a dar’.*


Questo il motivetto che accoglie Diego nello spogliatoio ad ogni vittoria. Lui canta a squarciagola e balla come un invasato, quasi non fosse lui l’oggetto del coro. La spinta dionisiaca al movimento e al ritmo lo ha sempre permeato profondamente. Nelle lunghe trasferte in pullman el diez educa addirittura i suoi ragazzi al neomelodico napoletano richiedendo ‘O surdato ‘nammurato’ e facendo venire a tutti i brividi al ricordo degli oltre 50000 del San Paolo che ogni volta così lo accoglievano. Il campionato di clausura è ormai alle porte. Le vacanze sono finite ma di Diego non si sa ancora nulla. Le risposte che arrivano dall’Argentina sono poche e confuse. Una cosa è certa, le condizioni di salute del pibe non sono eccelse. Il presidente Núñez è preoccupato e si vede costretto a nominare un nuovo allenatore. L’intera squadra aspetta Diego come bambini che attendono il Natale. Egli però continua a non palesarsi, chiuso nel suo inconoscibile privato. I Dorados giocano le prime partite senza di lui e incontrano solo sconfitte. Hanno bisogno di Diego e Diego non si fa attendere ulteriormente. Pur rischiando di morire in aereo per una possibile emorragia interna a seguito dell’intervento all’ernia el pibe arriva a Culiacán. Gli inizi sono duri ma con una rimonta epica riescono nuovamente a centrare i playoff. Uniti più che mai dal ritorno del diez i dorati raggiungono la finale trovandosi di fronte ancora una volta i temibili di San Luis. La partita d’andata è tesa e si chiude sull’1-1. Diego infuoca l’animo dei suoi gridando al nemico. I ragazzi hanno sempre dato tutto per la maglia e meritano una rivincita catartica. Si va a San Luis con ancora più pressione addosso della prima volta. Il match è soffertissimo, e dopo lo 0-0 sono ancora i supplementari a decretare il trionfo o la disfatta. I pochi ultras Dorados presenti, fagocitati dai 24mila avversari, continuano imperterriti a sostenere la squadra. Un guizzo del San Luis però gli rovina la festa. Sogno finito. I ragazzi e Diego si sono fermati ancora una volta ad un centimetro dalla vetta e sembra esserci ormai spazio solo per la tristezza. È questo però il momento in cui un leader deve far sentire il suo peso. Diego onora ciascuno di quegli uomini versando lacrime sincere. Fa capire ad ognuno di loro che quanto fatto non è stato vano perché hanno saputo creare una famiglia, e questa è sempre la vittoria più grande. Li ringrazia uno ad uno come un padre fa con un figlio che lo ama. E questo non può essere un addio Diego ma solo un altro struggente arrivederci.

Grazie D10S.



*per approfondire la correlazione intuita da Carlo Rovelli

https://www.ilsussidiario.net/news/cultura/2017/12/11/buddhismo-e-teoria-dei-quanti-ecco-come-eliminare-la-sofferenza-e-l-attaccamento-alle-cose/796774/

*(Venite a cantare con me e troverete un amico;

mano nella mano, con Maradona,

faremo il giro della vittoria.)

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